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Romanzo

Piccole cronache di un secolo

Erano stati mesi d’incubo, quelli seguiti alla fatale scossa di terremoto dell’11 Gennaio del 1693, per la popolazione che, fuggita precipitosamente, a fine marzo era ancora accampata nell’arenoso altopiano a sud della città: i nobili in solide ville, i plebei in ripari di fortuna e senza mezzi di sussistenza per la lunga e inattiva permanenza in campagna. Vuote si erano infatti rivelate le promesse di provvidenze fatte dalle autorità cittadine e pomposamente riconfermate dallo stesso Vicario Generale del Vicerè, il duca di Camastra, venuto di persona a Caltagirone. Sebbene la terra continuasse a tremare, rendendo sempre più credibile l’avvento di un’universale Apocalisse vaticinata da un invasato frate cappuccino, il frequente andirivieni dalla città si era trasformato agli inizi di Aprile in stabile trasloco in essa.

Descrizione

anno di pubblicazione: 1997
Un secolo, il Settecento, e una città con le sue superbe architetture tardobarocche tuttora visibili: uno scenario di pietra immemore dell’esistenza che, nel secolo dei Lumi, anonimamente in esso brillò, si spense.

Pochi e labili gli indizi in cronache e vecchi manoscritti: sbiadite tracce di transiti che abbiamo seguito -inseguito- ritrovandoci, come funamboli, vertiginosamente in bilico tra memorie e omissioni, tra l’inconfutabile dato e l’arbitrio dell’interpretazione, tra il tempo in apparenza immobile, nella ciclicità di vita-morte, dell’esistenza individuale, e quello dinamico e progressivo della storia.

Un recupero, tuttavia, ostinatamente perseguito, il cui senso anche per noi resta ambiguo: tentativo di leggere, attraverso minime storie di vita in una spazialità urbana marginale rispetto all’Europa, l’appassionante storia di un secolo centrale nella costruzione della coscienza civile in Occidente; ma soprattutto, forse, esigenza di legittimare la nostra appartenenza alla smemorata contemporaneità; esorcizzare, cioè, l’acuta e paralizzante percezione che la coscienza smarrita nel tempo ha di sè stessa -la consapevolezza della ‘gracilità del momento’ di cui parla Pessoa- ad essa restituendo   frammenti della sua cieca e immemore avventura nel tempo che ha nome passato.

Attraverso la deliberata, lucida, infedeltà della scrittura.